con il fazzolettone in evidenza

Il valore del servizio (di quadro)

Così mi sono raccontato un giorno all’incontro di Interbranca di Zona

“… lo scopo dell’Associazione è contribuire […] alla crescita dei ragazzi come persone significative e felici.” ovvero “il valore educativo del servizio (di quadro)”.

– Il quadro è quindi un capo che, avendo maturato le scelte del Patto associativo, si mette a disposizione per un servizio temporaneo di sostegno all’azione educativa dei capi educatori

Ci sono i ragazzi, i capi e i quadri.
A volte i quadri tornano ad essere capi, e i capi tornano ad essere ragazzi. Talvolta i quadri, facendo una doppia capriola, tornano ragazzi.

Vi racconterò di me, mi è stato chiesto e io ho accettato perché raccontarsi fa sempre piacere, e non capita spesso che ti venga chiesto. Raccontiamo spesso la nostra storia a noi stessi, ripercorrendola, ri-godendo dei successi, tormentandoci degli errori commessi, riposizionandoci in certi momenti della nostra storia e immaginando di scegliere strade diverse da quelle prese, cercando risposte di ieri a domande di oggi. Ma raccontarsi ad altri è un’altra cosa, è un’avventura e comporta dei rischi, bisogna metterci attenzione.

Partiamo da adesso.

Ho cinquanta anni, e davvero non so come faccio ad averli.
Ogni giorno porto un bambino e una ragazzina a scuola, poi lavoro, alla sera li prendo dai nonni, mi siedo a tavola con loro e mia moglie, rido, parlo, li riprendo, ascolto il racconto della loro giornata, quello che a loro va di raccontare, guardo serie tv, leggo libri e mi addormento. Prima di addormentarmi a volte prego, e torno ragazzo. A volte mi preoccupo del futuro, e torno adulto. A volte mi chiedo se esisto davvero, e penso a Matrix.

Pensavo fosse semplice crescere dei figli, mi sbagliavo di grosso. Il problema più evidente è che finita qualsiasi attività nessuno viene a prenderli, ma restano con te. E questo significa che non c’è qualcun altro a cui scaricare responsabilità e che loro, i figli, ti guardano anche quando ti guardi allo specchio, quando litighi con la loro mamma, e quando è lampante che non ne puoi più e ti auguri di essere in un Truman Show. Non è vero, il problema più evidente è che pensavo di essere migliore di come sono.
Errore di valutazione causato da condizioni particolarmente favorevoli al momento del test.

Ma io devo parlarvi del servizio. E’ passato un po’ da quando chiedevo ai partenti di prendersi la responsabilità di un servizio, e di coltivare questa dimensione di vita.
A cosa pensavo quando chiedevo questo? Non pensavo la stessa cosa che penso adesso, questo è sicuro. Glissiamo, al momento, e diciamo allora che l’ultimo servizio che ho svolto è quello politico, ma proprio politico, all’interno di un partito. Calcisticamente parlando abbiamo perso le elezioni 3 a 1, ma non ritengo di aver perso tempo. E’ un mondo diverso da quello scout, anche se alcune parole chiave comuni possono confondere. “La democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle forme che si sono sperimentate fino ad ora”, diceva Churchill. La politica scandalizza perché riflette nell’intimo quello che siamo, e quello che siamo talvolta scandalizza.

Ma torniamo ancora più indietro, e soprattutto torniamo in Agesci.

Ho svolto il servizio di responsabile della comunicazione regionale, la rivista regionale e sito web, per capirci. Con la scusa di essere un informatico sono riuscito a fare quello che più mi sarebbe piaciuto fare nella vita, occuparmi di comunicazione, scritta, visiva, audio, musicale… L’ho fatto assieme ad amici con cui ho condiviso il servizio in regione. Quanto bello è fare servizio tra amici. E quanto bello è se trovi tra questi dei sognatori, qualcuno che guarda quello che ancora non c’è e chissà se ci sarà.

Prima e durante, siamo tra il 2002 e il 2005, ho svolto il servizio di Consigliere Generale. L’ho preso come un onore, un segno di stima da parte dei capi della zona che mi hanno proposto e dei regionali che mi volevano bene. In Agesci è così, anche.
A Bracciano si fa la storia, te ne rendi conto quando ci arrivi. Più che altro capisci che non c’è un’altra assemblea Agesci ancora più “su”, e che lì si decide. Talvolta decisioni poco rilevanti per chi sta con i ragazzi, altre invece davvero determinanti. E ti chiedi se hanno fatto bene a darti tanta fiducia. Per fortuna i consiglieri generali sono molti, responsabilità condivisa. A Bracciano si “gioca” anche alla democrazia citata da Churchill, si fa pratica. Poi qualcuno fa anche il salto e lo vedi in tv, ma senza fazzolettone. Giusto, augurabile e rischioso. I consiglieri regionali del V*****, assieme ai responsabili regionali, formano la cosiddetta squadriglia Aquile: ho avuto proprio dei bei squadriglieri, persone interessanti, che hanno lasciato un segno. E quanto mi sono divertito.

Capita che gli ex responsabili di zona diventino consiglieri generali, si capitalizza l’esperienza. Così è capitato anche a me, perché sono stato in precedenza RZ. Esperienza molto bella, la ricordo come fra le più ricche che lo scautismo mi ha regalato. Per le relazioni, soprattutto. Per il senso di responsabilità che pian piano avverti necessario ed essenziale, e per la richiesta che senti impellente da parte dei capi di uno scautismo sostenibile, in termini di impegno, di senso e soprattutto felice. Servire con il sorriso. Ieri come oggi, credo. La collegialità del comitato è un mantra che mi è entrato dentro in quegli anni. Necessaria quanto complicata. E ricordo anche la preoccupazione, inevitabile quanto inutile, che quanto costruito assieme al comitato non venisse perso da chi ci avrebbe sostituito. C’è del sano in questa preoccupazione, ma c’è anche un filo di presunzione che va riconosciuta come tale. Accade quando crediamo di aver fatto un buon lavoro e ci dimentichiamo che anche questo “buon lavoro” è uno strumento in mano ad altri, un foglio che vola nel vento, e che noi siamo di passaggio anche come capi.

Ora invece vi racconto di cosa ho fatto davvero con grande soddisfazione e gratificazione personale, quasi in modo disdicevole: il formatore di campi metodologici R/S. Con Mario, Sandra, Piero e Matteo abbiamo veramente goduto nel dare tempo, pensieri e sogni a questi eventi in cui arrivavano dei capi ignari di quanto gli sarebbe successo. Lo ripeto, quanto bello è fare servizio tra amici. Sono stati 4 o 5 anni che hanno segnato la mia esistenza, lo dico con un filo di imbarazzo. Non sappiamo se quelle persone sono diventate dei bravi capi clan o maestri dei novizi, non sappiamo se lo sono stati per molto o poco tempo. Di certo sono stati incontri in cui prima del metodo si cercava di passare il senso dell’essere capi e il privilegio di potersi relazionare in modo così importante con i ragazzi. Ci piace ancora ricordarci come una staff anomala, fuori dagli schemi. In realtà eravamo e siamo amici e appassionati.

Ma torniamo a casa, a R*******. Prima di RZ sono stato capo gruppo, altro momento importante. Lo sono stato in un momento delicato del gruppo, quando sono usciti del tutto i capi della generazione precedente e mi sono accorto che toccava alla mia prendersi la responsabilità.
Ma anche quando è iniziato un doloroso percorso di non relazione con il nostro precedente parroco. E’ un capitolo molto triste del nostro gruppo e del nostro paese, durato tanti anni, troppi. Ora però è iniziato qualcosa di nuovo e di molto interessante. “C’era un tempo sognato che bisognava sognare”.

Dell’esperienza da capo gruppo ricordo i festeggiamenti per il 25° anniversario, il campo di gruppo, la Route Nazionale per Capi del 1997. Si, sono stato anche fortunato.

Vi dicevo del formatore R/S. Lo sono stato perché io sono stato e sono, credo, un capo R/S, più che un capo. Sono stato capo clan per 7 anni, oltre che incaricato di branca prima nella zona di C*********** e poi di S*****, e mi sono innamorato di questa branca, della strada, dello zaino in spalla, di quel “Servire” perentorio, senza se e senza ma. Della comunità. Tutte le altre comunità che ho conosciuto dopo hanno dovuto confrontarsi con quella del clan, e devo dire che non ne sono uscite bene. Non voglio divulgarmi oltre su questa esperienza, è facile che molti di voi possano farlo meglio di me, come potrebbero farlo chi ha vissuto o sta vivendo l’esperienza di educatore in branco, dove ho trascorso i due anni successivi alla mia Partenza.

Se dovessi restare al titolo del libro che avete scelto, e chissà perché lo avete scelto, dovrei terminare qui.

Invece non è finita qui, anche se manca poco, e posso dirvi adesso di avere scelto questa narrazione al contrario per un preciso motivo. Una cintura e un fazzolettone.

Sono entrato negli scout a R*******, nel 1980, direttamente al terzo anno di reparto.
Ma il primo fazzolettone l’ho indossato qualche anno prima, e non era rossoblu.
Abitavo a Z*******, andavo alle elementari. Avevo ricevuto in regalo da uno zio, di S*****, un suo fazzolettone giallo e rosso, non credo scout, magari dell’azione cattolica o giù di lì.


Avevo ricevuto per la comunione da un altro zio, questa volta scout, il libro “Manuale del Trapper”, e avevo deciso di costruirmi la cintura di sopravvivenza, con dei piccoli cilindretti contenitori per custodire ago e filo e fiammiferi.


Con il fazzolettone giallo e rosso e con la mia cintura da trapper, mi sono avventurato assieme ad un compagno di scuola per i campi di granoturco, e ho acceso il mio primo fuoco dove ho abbrustolito la mia prima pannocchia. Grazie al fiammifero asciutto contenuto nel cilindretto alla cintura.
Ecco dove sta il senso del mio scautismo, non è alla fine, ma all’inizio.

Ora, quel fazzolettone voleva dire appartenenza, quei colori indicavano qualcuno che in essi si riconosceva, e io, pur non sapendo chi fosse questa comunità e neanche sapendo che si poteva chiamarla così, desideravo appartenervi. La mia pannocchia dovevo bruciacchiarla assieme all’amico e a questa comunità ignara del fatto che anch’io quel giorno ne facevo parte.

Ora, quella cintura con l’elastico di mutanda che teneva le scatoline cilindriche dei rullini fotografici, voleva dire avventura e autonomia. Poteva scatenarsi l’inferno e scendere un diluvio, ma i miei fiammiferi erano al sicuro. Paura e coraggio.

Tutta la mia esperienza scout, soprattutto da capo, l’ho vissuta con queste due domande che vengono dal cuore: comunità e sfida con se stessi. Posso farcela a vivere, assieme agli altri.

Non ho altre parole a disposizione.

Chiedete ai ragazzi, chiediamo ai nostri figli. Ask the boy. Loro hanno la risposta.

PS: la foto del fazzolettone giallo e rosso l’ho presa in prestito dal profilo FB di un gruppo a cui appartiene un caro amico, Enrico, che non vedo mai. Abbiamo vissuto assieme il CFM e CFA, o meglio il 1° e 2° tempo, entrambi RS, entrambi sulle colline di Conegliano, entrambi in tenda assieme. Un’altra amicizia che ha trovato un posto nel cuore al di là del tempo e dello spazio.

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