Non che ci sia rimasto male, per carità. Nemmeno me lo aspettavo.
Ma mi ha spesso incuriosito il fatto che i genitori, le mamme soprattutto, si prodighino a fine anno scolastico a racimolare le quote per un “pensiero” per le maestre di scuola, di danza, di karate, di basket… un ringraziamento per l’impegno svolto nell’educazione dei figli, scolastica o sportiva che sia, a chi tra l’altro è profumatamente (o quasi) pagato per farlo.
Ai capi scout nulla. E sono i pochi a spendere fiumi di tempo per i ragazzi assolutamente gratis, anzi spesso rimettendoci i soldi del censimento, della cancelleria, della benzina e del telefono.
Nemmeno un mazzetto di fiori, un vasetto per il mazzetto di fiori, una cornice per fotografie in silver plate, un portachiavi, niente di niente. Perché?
Cari capi scout, secondo me è una questione di marketing. Non ci vendiamo bene, anzi non ci vendiamo proprio. L’immagine che proiettiamo di noi stessi non induce il genitore medio a pensare che stiamo facendo qualcosa di importante per il figlio, anzi, lo convince a volte che è lui, il genitore, a fare un favore a noi scout lasciandoci il figlio per qualche ora.
In qualche modo noi facciamo passare l’idea che ci piace moltissimo fare i capi scout, ci gratifica, ci diverte. Ma per farlo abbiamo bisogno dei ragazzi, e loro a volte ce li concedono. Così possiamo metterci le braghe corte, camminare con 20 kg sulle spalle, dormire in terra all’umido e mangiare su gavette d’alluminio la pasta scotta. C’è bisogno forse di premiare una persona che si è già divertita un sacco?
Se volete lasciare i genitori convinti di tutto ciò, allora girate pagina e leggete qualcos’altro.
Altrimenti inizia per voi il primo corso per “Capi che vogliono il regalo a fine anno”.
Il corso funziona così: ci si immedesima nei ruoli tipici del rapporto capi-genitori e ci si sforza di immaginare cosa sarebbe più opportuno fare, così, a ruota libera. Cominciamo?
SE FOSSI UN CAPO IN UNITA’
Ragazzi, qui non si scherza. Se fossi un capo unità la prima cosa che farei ad inizio anno, dopo le pulizie della sede, è una riunione con i genitori. “Buona sera, grazie per essere venuti. Io sono Matteo, il capo reparto, è questa è Sandra, la capo reparto. Volevamo conoscervi di persona e comunicarci le reciproche attese per quest’anno che sta per iniziare…” Sì, perché il primo problema non è spiegare ai genitori cos’è lo scoutismo, ma capire perché hanno iscritto i figli allo scoutismo. Dobbiamo partire da un terreno comune, non iniziare a distinguerci: noi scout, voi genitori. Se iniziamo col spiegare chi siamo, chi è Baden Powell, e cosa facciamo in braghe corte, allora capiranno subito che la cosa ci piace…
Quando avranno capito che siamo esseri umani come loro e che il nostro interesse è quello di aiutarli ad educare i figli, allora potremo spiegare che cercheremo di farlo con un metodo, e che l’ha inventato un signore inglese molti anni fa. Poi mi segnerei tutti i nomi dei genitori, perché è importante chiamare ciascuno con il proprio nome, come facciamo con i ragazzi. E diamo loro il nostro indirizzo e telefono: lo sappiamo che a volte ci chiameranno nel mezzo della partita di calcetto o del film per sapere se in uscita ci sarà l’acqua calda o meno, ma ne vale la pena. E facciamo in modo che l’incontro non sia un monologo di un capo, ma che ci sia spazio per tutti i capi della staff, che si capisca che il nostro è un gioco di squadra, anche se per far questo è necessario preparare prima gli interventi e dividerli fra i capi.
Sapete cosa indispettisce un genitore? Avvertire che dei ragazzini poco più che ventenni si permettano di pontificare sulle teorie dell’educazione, magari alludendo a presunte inadeguatezze dei genitori. Questo per dire che noi siamo capi scout, e non sempre genitori; sappiamo quali sono le nostre fatiche ma non immaginiamo spesso quelle delle madri e dei padri dei nostri ragazzi, quindi ci vuole umiltà e senso della misura. Alcuni genitori potranno mettere a dura prova la nostra pazienza, dubitando delle nostre capacità: la risposta più corretta sarà la calma e la posatezza, avranno modo di ricredersi quando ci vedranno all’opera. D’altronde, noi al posto loro non vorremmo essere sicuri di affidare il bene più prezioso che possediamo a delle persone con la testa sulle spalle? E quando ci capiterà di entrare nelle loro case non risparmiamo sui minuti, lasciamoci offrire un caffè e chiacchieriamo di cose serie e meno serie, c’è bisogno di tempo per conoscersi e darsi fiducia reciproca.
SE FOSSI UN CAPOGRUPPO
Farei il “prezzemolo” senza preoccuparmi dei rischi della sovraesposizione. Mi spiego. Il capogruppo ha un ruolo in comunità capi, ma ne ha anche uno esterno alla struttura associativa, cioè di riferimento per il consiglio pastorale, per gli altri gruppi/associazioni parrocchiali o meno, per il comune, e non per ultimo nei confronti dei genitori dei ragazzi. Ricordiamoci che è il primo garante del progetto educativo e della qualità del servizio della coca. Sì, anche gli altri capi lo sono, ma, per il ruolo che riveste, il capogruppo è un riferimento particolare, e quindi deve prendersi le proprie responsabilità informandosi, partecipando, introducendo, sintetizzando, provocando tutto ciò che riguarda la trasversalità del servizio rispetto le branche. In poche parole: non sarebbe male se fosse presente alle riunioni di branca con i genitori, magari con una presenza di basso profilo, ma presente; non sarebbe male se fosse riconosciuto dai genitori e potessero contattarlo con facilità per quei problemi dei quali risulterebbe imbarazzante parlarne direttamente con i capi unità, perché magari il problema riguarda loro; non sarebbe male se i capi tenessero bene in mente che alcune situazioni e problematiche sono di competenza del capogruppo, e a lui devono riferirsi, non perché sia il migliore ma perché il ruolo che la coca gli ha dato gli permette di avere un punto di vista più generale della situazione; non sarebbe male se il capogruppo si preoccupasse di promuovere alcune “politiche” generali della coca nei confronti dei genitori, come l’aiuto per le famiglie in situazioni economiche difficili, o le attenzioni necessarie verso i figli di coppie separate e divorziate, e qui potremmo veramente aprire un capitolo. Se fossi un capogruppo valorizzerei le esperienze di genitori dei capi più maturi, perché aiutino la coca a cogliere le difficoltà di chi cresce i ragazzi per una vita e non per qualche anno la domenica mattina.
SE FOSSI UN ASSISTENTE ECCLESIASTICO
Starei sempre con le orecchie tese, pronto a cogliere le difficoltà dei capi in unità e del capogruppo nei confronti dei genitori, perché sarei cosciente di quanta importanza il mio ruolo di prete potrebbe avere nelle situazioni di incomprensione e disaccordo, di mancanza di fiducia, di posizioni rigide. Le famiglie e la coca avrebbero fiducia nel mio intervento e arriverebbero al punto d’incontro e alla mediazione. Certo starei attento a non sovrappormi al capogruppo, perché i due ruoli sono diversi e vanno rispettati, e proprio per questo lavorerei al suo fianco, per sostenerne spiritualmente lo sforzo e ricordare sempre a lui e alla coca il motivo per cui fatichiamo ogni giorno in una “missione” che a volte appare impossibile. Sarei cosciente dell’importanza di un gruppo di giovani e adulti come la coca che si impegna con tanta perseveranza e generosità nell’educazione dei piccoli, spesso di famiglie lontane dalla chiesa e proprio per questo non mi preoccuperei di “darmi”, malgrado siano tante le cose da fare in parrocchia, perché non è una questione “scout”, qui si parla di avvicinare le famiglie alla Parola e alla comunità, e la cosa mi riguarda molto da vicino. Se fossi un assistente ecclesiastico lo farei io un pensierino a fine anno ai capi, se non ci pensano i genitori !
Ecco, il corso è terminato. Potete passare in segreteria a ritirare il certificato di partecipazione.
Volete la verità? A parte l’AE, quando ho rivestito gli altri ruoli di cui ho parlato non ho fatto tutte le cose che ho scritto, e penso che nemmeno avevate il dubbio. Però se riuscissimo a mettere in pratica almeno 3 delle decine di cose scontate che ho scritto e che si dicono e ridicono, penso che alla fine dell’anno potremmo regalarci una cornice per una bellissima fotografia dei nostri ragazzi al campo. Perché alla fine comunque i genitori capiranno che fare scoutismo ci piace: le bugie hanno sempre le gambe corte.
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