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Protagonismo

canoa
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“Protagonismo” non è una parola che suona subito bene…
Si pensa a chi vuole essere al centro dell’attenzione, si da al termine un’accezione negativa.
Eppure tutto lo scoutismo di Baden Powell punta su questo, il protagonismo dei ragazzi.
“Guida da te la tua canoa” è l’espressione più famosa del nostro fondatore, proprio per indicare l’importanza per ogni ragazzo-uomo di prendere in mano la propria vita, di farsene carico, responsabilmente, senza delegare la decisione della “rotta” da tenere ad altri.
Detta così anche questa indicazione suona strana. Da soli ? Cos’è questa ambizione a far tutto da soli ? E la comunità ? E l’esperienza degli adulti ? Si dovrà pure imparare da qualcuno ?
La comprensione del significato del protagonismo indicato dal nostro fondatore sta nella differenza tra l’addestramento e l’educazione.

Addestrare significa avere delle nozioni, delle informazioni, delle capacità da comunicare, trasferire. Io so fare qualcosa, adesso lo insegno anche a te. Nulla di male, guai se mancasse nelle nostre case e scuole questa funzione.

Se fosse importante insegnare ad accendere un fuoco, o piantare una tenda, o a farsi lo zaino, evidentemente potremmo risolvere la questione dello scoutismo in un paio di mesi, o con un bel manuale.

Invece allo scoutismo interessano le dinamiche di relazione che si creano in una squadriglia quando ci si deve preparare al campo o ad una impresa, interessa la capacità di ciascun ragazzo di porsi degli obiettivi, piccoli ma concreti, per fare passi in avanti, perché la complessità della vita richiederà sempre passetti in avanti. Ci interessa di più quando la regola di un gioco non viene rispettata, perché ci da l’occasione per domandarsi il motivo dell’esistenza delle regole e decidere assieme che sono indispensabili.
Ci interessano le bugie dei ragazzi, perché vogliamo capire assieme quale mancanza di libertà li ha portati a dirle, più che dispiacerci per la fiducia tradita.
A noi interessa la persona, a noi interessano i ragazzi e la loro felicità. Il resto sono “esche”, entusiasmanti, appassionanti (a tal punto che ci “prendono” anche noi capi) ma esche per raggiungere i ragazzi.

A noi interessa EDUCARE, non addestrare.

L’educazione è di più. Educare significa “tirar fuori”, non “spingere dentro”. Significa aiutare la persona ad esprimere, far emergere, realizzare se stessa. Se stessa, non qualcos’altro. Noi siamo già una grande ricchezza, già da bambini, anzi, ancora prima. Il problema sta nel creare le condizioni e le relazioni che possano favorire la “fioritura” della nostra esistenza. B.-P. diceva che ciascuno di noi, evidentemente anche Bin Laden, ha un  5% di buono in sé. Ed è su quel 5% che bisogna lavorare.
Questo non significa che ciascuno ha le stesse caratteristiche, risorse e possibilità. Ma significa che sarebbe un guaio se qualche minima, piccola, grande o fantastica dote rimanesse nascosta, come i denari di quel servitore che preso dalla paura di perdere ha nascosto sotto terra. E magari solo perché non abbiamo trovato nessuno che ci ha fatto credere in noi stessi, ci ha dato fiducia e ci ha sollecitati ad essere quello che siamo.
Ecco che spunta un adulto all’orizzonte. E qui si apre un mondo. Che ruolo ha l’adulto nell’educazione dei ragazzi? Lo scoutismo ha scommesso su quello del “fratello maggiore”. Un po’ perché papà e mamma ci sono già, ma soprattutto perché il compito del capo scout è quello di accompagnare, non guidare. La canoa la guida il ragazzo. Il fratello maggiore è colui che con l’autorevolezza conquistata sul campo (non dichiarata a voce), con qualche anno di esperienza sulle spalle ma con molta discrezione sta a fianco, sostiene quando si cade, stimola quando si è stanchi, sorride quando viene da piangere, accende qualche luce quando il buio fa perdere la via. Ma non si sostituisce mai a chi deve camminare con le proprie gambe, perché lo scopo non è arrivare, ma mettere nelle condizioni gli altri di arrivare, anche quando tu non sarai più al loro fianco.